Nell’incontro avuto settimana scorsa, Luciano mi aveva invitato a partecipare alla tavola rotonda chiedendomi un parere su come si sia avvertita l’ondata, per certi versi “rivoluzionaria”, apportata dal “sessantotto”, con particolare riferimento al periodo degli anni trascorsi in collegio.
Raccolgo anche l’analogo invito di Luisa, che ringrazio per le parole di stima espresse nei miei confronti, nonostante l’indigesta insufficienza rimediata nel primo anno di ragioneria.
Lo faccio volentieri, proprio perché, in quel periodo, ho sperimentato personalmente l’impatto tra il “vecchio” - tutto preso dalla ricostruzione dopo il triste passato del dopoguerra e quindi già pago delle libertà riconquistate - e il “nuovo”, reclamato da una generazione che pretendeva la sperimentazione di nuove e più articolate espressioni di maggior autonomia, democrazia, partecipazione e un’ “altra” codifica della parola libertà.
Questo anche nella Scuola!
Nel bel mezzo della contestazione globale del sistema, contro un modello istituzionale che, non sempre per colpa degli addetti, risentiva della pesantezza di una burocrazia (baronie, anche?) poco incline ad aprirsi alla richiesta di una partecipazione che alterava prassi consolidate e sperimentate da decenni, non era facile adattarsi “sic et simpliciter” a proposte che apparivano sovversive dell’ordine precostituito.
Forse anche mal utilizzato dai più “facinorosi”, il concetto di autonomia e di “pretese” per contare di più anche nella stessa gestione (si pensi alle rivoluzioni dei programmi di studio, agli esami di gruppo, al “voto politico”, alle forme di autogestione, ecc.), ha finito per scontrarsi in modo anche cruento con le istituzioni detentrici di “forti” poteri.
Frettolosamente e malamente coniugato il concetto di democrazia, per contro si è annullato il concetto di autorità; appannati, a volte anche cancellati, i riferimenti etici sui quali si fondava il rapporto tra cittadino e Stato, tra studenti e docenti; l’affermarsi di una “sufficienza” dell’individuo resa ancor più esasperata (e litigiosa) da una errata interpretazione di una libertà superiore a qualsiasi regola, …. tutto questo ha finito per far emergere contraddizioni conseguenti ad una contestazione che “in nuce” conteneva, sì, importanti e giuste rivendicazioni ideali, ma che si era rivelata priva di proposte di mediazione con il mondo istituzionale, politico, economico e sociale purtroppo ancora impreparato ad accettare una “rivoluzione” così repentina del sistema.
Le successive occupazioni di Università e Scuole sono state - a mio avviso – la conseguenza di questo “fallimento culturale” che ha voluto nel concreto rifiutare ogni mediazione, finendo per rifugiarsi in forme di lotta (anche armata): proprio l’antitesi di quella democrazia che doveva fare da supporto alle diverse forme di gestione collegiale tanto calorosamente reclamate.
Comprendo allora la conclusione, un po’ amara, espressa da Egle e una certa insofferenza di Iore che, mi pare di capire, si trova ancora nei meandri della contestazione.
Mi piacerebbe sapere se lo è anche rispetto al presente.
Mi permetto inoltre di dissentire da Iore quando attribuisce al solo “potere” la “creazione delle Brigate Rosse”: alla luce anche delle successive ammissioni da parte degli stessi componenti il gruppo, tale affermazione meriterebbe una analisi più approfondita.
Del resto, le osservazioni finali di Luisa al riguardo, “solidale con le prime sommosse e ne condividevo gli ideali, un po’ meno forse le forme …. troppo sovversive”, rimandano (e confermano?) alle stesse considerazioni cui sopra accennavo.
Mi verrebbe la voglia di sottolineare come sia stata esattamente opposta la tattica “rivoluzionaria” messa in atto dal mondo economico e politico che, passo dopo passo, sta scardinando tutte le conquiste ottenute dopo tanti anni di “lotte” dal sindacato e dai lavoratori.
Una rivoluzione sottile, anche argomentata, che è stata in grado perfino di ottenere un ampio consenso, tanto è stata ben studiata e facilitata dai media: questi “moderni rivoluzionari” che detengono il potere, loro sì, hanno messo a profitto la lezione del ’68….!!!
E i risultati li stiamo scontando, oggi.
Potrebbe essere questo un valido motivo per continuare nella discussione con un nuovo capitolo: “Che cosa è rimasto, oggi, dopo il ’68?
Mi è venuto allora spontaneo cercare le motivazioni del mio comportamento alla luce dell’articolo da me firmato in quegli anni e,oggi, oggetto di questa riflessione.
Penso che le motivazioni per le quali voi, miei “giovani compagni nell’avventura scolastica”, con i quali anch’io ho condiviso parte della mia giovinezza e contrassegnati dal reciproco rispetto dei ruoli, non mi abbiate dimenticato, siano da ricercarsi nella sintesi di due linee guida alle quali ho fatto riferimento nel mio rapporto con voi e che -a mio avviso- hanno contenuto le possibili contestazioni conseguenti.
La prima: “Ricorda che a monte di un tuo diritto corrisponde a valle un tuo preciso dovere”.
La seconda: “Sappi che la tua libertà finisce quando inizia a “disturbare” (o peggio, limitare e annullare) la libertà altrui”.
La mia funzione di “educatore”, di colui cioè che deve “trarre”e favorire il miglior sviluppo della personalità della persona che gli è affidata, richiamava innanzitutto al dovere di essere preparato professionalmente (e quindi strutturare al meglio le lezioni perchè tutti potessero meglio comprendere, correggere puntualmente le verifiche, tenere una necessaria disciplina nel corso delle lezioni), di stimolare poi le capacità, anche quelle nascoste di ciascuno, e di verificare infine i risultati ottenuti ( i compitini svolti in classe senza preavviso potevano apparire un “castigo”, in realtà servivano anche per verificare la bontà del metodo da me adottato).
Cosa che, evidentemente, non potevo dire in quel momento!
E questo mio “dovere” veniva, quindi, ad essere in sintonia con il vostro diritto nel “pretendere” quanto era necessario per migliorare le conoscenze (obiettivo secondario) ma ancor più per imparare a diventare “adulto” nella vita personale e nelle relazioni con gli altri (obiettivo primario).
Per contro, e in modo direttamente proporzionale e simmetrico, avveniva lo scambio con il mio diritto di “pretendere” il meglio da ciascuno ed il vostro dovere di corrispondere con altrettanto impegno alle occasioni di crescita personale.
Tutto ciò era la risposta minima che rendeva giustizia a quanti, i vostri genitori in primis, avevano affidato alla istituzione “Collegio S.Ambrogio di Porlezza” (e di conseguenza anche al sottoscritto) la responsabilità di una formazione in linea con le loro aspettative e le loro convinzioni, al riparo -come ha sottolineato Iore- dai “cappelloni” e dai “rivoluzionari … dalle idee sovversive”.
Ebbene, in questo posto “al riparo”, mi ero premurato di rendere il clima scolastico un po’ meno pesante, non tanto sotto la spinta delle novità sessantottine, ma perché convinto che le linee guida sopra ricordate erano la base per un reciproco arricchimento, reso possibile da una mediazione tra le esigenze richieste dai rispettivi ruoli, in quel tempo visti ancora come distinti e “distanti”.
Applicare queste mie convinzioni nel mondo della scuola mi era diventato facile per via dell’esperienza che proprio in quegli anni mi trovavo a “vivere” sul fronte della politica amministrativa: in quegli anni il mio “secondo lavoro”.
Non ancora trentenne, e come ogni giovane sospinto da grandi ideali di cambiamento rispetto a consuetudini ormai obsolete e talvolta di parte (nella fattispecie, a seguito di manovre da parte delle segreterie politiche, ero stato eletto dopo la reggenza di un commissario prefettizio), m trovavo a ricercare spesso e sistematicamente una mediazione tra il “nuovo” che mi veniva spontaneo ed il “vecchio” del potere costituito, appannaggio di una sorte di anziana oligarchia, collegata e/o dipendente per lo più da schematismi e apparati fin troppo politicizzati.
La ricerca del “bene comune” per i cittadini mi chiamava ad una scelta: rifiutare a priori il dialogo e conseguentemente l’abbandono del campo (significava questo darla vinta al “vecchio”! rinunciando a qualsiasi innovazione); sottomettersi ad una prassi vigente, che poteva darti anche possibilità di gratificazione nel futuro (credo che questo però non figurasse nelle aspettative di un giovane!); oppure una terza e più opportuna soluzione: la ricerca di un consenso, il più condiviso possibile, che potesse introdurre gradualmente scelte sorrette da nuove strategie di intervento nella scuola e nel sociale in genere, quelle stesse auspicate dalle spinte ideali di quegli anni.
Solo così si può spiegare il “binomio”, amicizia e autorità (non autoritarismo!) che ha contraddistinto la mia proposta e che è stata da voi felicemente condivisa: severo ed esigente come docente, compagno ed amico nel tempo libero e nei rapporti interpersonali.
Queste “linee di programma” sono state per me dei punti di riferimento precise nel rapportarmi con gli altri, ed in particolare con i tanti ragazzi successivamente conosciuti nell’ambito della attività sportiva che non ho mai smesso di privilegiare come luogo di incontro, anche in questi giorni.
Questa positiva esperienza continuata nel tempo, mi ha dato la gioia di rimanere giovane, ma soprattutto mi ha permesso di coltivare e migliorare quella “apertura” che ti rende amico di tutti, senza con questo venir meno al necessario “ascendente” (leggi corretto uso del concetto di autorità) di chi ha la responsabilità di educare, i giovani in particolare.

Nota.
Gli interventi di Luisa, Iore e Egle mi hanno procurato una gioia immensa.
Ripristinare nei miei riguardi una amicizia, che il tempo (tanti anni sono passati da allora) non è riuscito a cancellare, ti dà una sensazione che è difficile descrivere.
L’ho detto a Luciano quando ci siamo incontrati: un avvenimento di questa portata non potrà che restare tra i momenti più belli della mia vita.
Grazie a voi, grazie con tutto il cuore.
E adesso, spero di incontrarvi, al più presto. Ciao, a tutti.
il vostro compagno matusa
Raccolgo anche l’analogo invito di Luisa, che ringrazio per le parole di stima espresse nei miei confronti, nonostante l’indigesta insufficienza rimediata nel primo anno di ragioneria.
Lo faccio volentieri, proprio perché, in quel periodo, ho sperimentato personalmente l’impatto tra il “vecchio” - tutto preso dalla ricostruzione dopo il triste passato del dopoguerra e quindi già pago delle libertà riconquistate - e il “nuovo”, reclamato da una generazione che pretendeva la sperimentazione di nuove e più articolate espressioni di maggior autonomia, democrazia, partecipazione e un’ “altra” codifica della parola libertà.
Questo anche nella Scuola!
Nel bel mezzo della contestazione globale del sistema, contro un modello istituzionale che, non sempre per colpa degli addetti, risentiva della pesantezza di una burocrazia (baronie, anche?) poco incline ad aprirsi alla richiesta di una partecipazione che alterava prassi consolidate e sperimentate da decenni, non era facile adattarsi “sic et simpliciter” a proposte che apparivano sovversive dell’ordine precostituito.
Forse anche mal utilizzato dai più “facinorosi”, il concetto di autonomia e di “pretese” per contare di più anche nella stessa gestione (si pensi alle rivoluzioni dei programmi di studio, agli esami di gruppo, al “voto politico”, alle forme di autogestione, ecc.), ha finito per scontrarsi in modo anche cruento con le istituzioni detentrici di “forti” poteri.
Frettolosamente e malamente coniugato il concetto di democrazia, per contro si è annullato il concetto di autorità; appannati, a volte anche cancellati, i riferimenti etici sui quali si fondava il rapporto tra cittadino e Stato, tra studenti e docenti; l’affermarsi di una “sufficienza” dell’individuo resa ancor più esasperata (e litigiosa) da una errata interpretazione di una libertà superiore a qualsiasi regola, …. tutto questo ha finito per far emergere contraddizioni conseguenti ad una contestazione che “in nuce” conteneva, sì, importanti e giuste rivendicazioni ideali, ma che si era rivelata priva di proposte di mediazione con il mondo istituzionale, politico, economico e sociale purtroppo ancora impreparato ad accettare una “rivoluzione” così repentina del sistema.
Le successive occupazioni di Università e Scuole sono state - a mio avviso – la conseguenza di questo “fallimento culturale” che ha voluto nel concreto rifiutare ogni mediazione, finendo per rifugiarsi in forme di lotta (anche armata): proprio l’antitesi di quella democrazia che doveva fare da supporto alle diverse forme di gestione collegiale tanto calorosamente reclamate.
Comprendo allora la conclusione, un po’ amara, espressa da Egle e una certa insofferenza di Iore che, mi pare di capire, si trova ancora nei meandri della contestazione.
Mi piacerebbe sapere se lo è anche rispetto al presente.
Mi permetto inoltre di dissentire da Iore quando attribuisce al solo “potere” la “creazione delle Brigate Rosse”: alla luce anche delle successive ammissioni da parte degli stessi componenti il gruppo, tale affermazione meriterebbe una analisi più approfondita.
Del resto, le osservazioni finali di Luisa al riguardo, “solidale con le prime sommosse e ne condividevo gli ideali, un po’ meno forse le forme …. troppo sovversive”, rimandano (e confermano?) alle stesse considerazioni cui sopra accennavo.
Mi verrebbe la voglia di sottolineare come sia stata esattamente opposta la tattica “rivoluzionaria” messa in atto dal mondo economico e politico che, passo dopo passo, sta scardinando tutte le conquiste ottenute dopo tanti anni di “lotte” dal sindacato e dai lavoratori.
Una rivoluzione sottile, anche argomentata, che è stata in grado perfino di ottenere un ampio consenso, tanto è stata ben studiata e facilitata dai media: questi “moderni rivoluzionari” che detengono il potere, loro sì, hanno messo a profitto la lezione del ’68….!!!
E i risultati li stiamo scontando, oggi.
Potrebbe essere questo un valido motivo per continuare nella discussione con un nuovo capitolo: “Che cosa è rimasto, oggi, dopo il ’68?
Mi è venuto allora spontaneo cercare le motivazioni del mio comportamento alla luce dell’articolo da me firmato in quegli anni e,oggi, oggetto di questa riflessione.
Penso che le motivazioni per le quali voi, miei “giovani compagni nell’avventura scolastica”, con i quali anch’io ho condiviso parte della mia giovinezza e contrassegnati dal reciproco rispetto dei ruoli, non mi abbiate dimenticato, siano da ricercarsi nella sintesi di due linee guida alle quali ho fatto riferimento nel mio rapporto con voi e che -a mio avviso- hanno contenuto le possibili contestazioni conseguenti.
La prima: “Ricorda che a monte di un tuo diritto corrisponde a valle un tuo preciso dovere”.
La seconda: “Sappi che la tua libertà finisce quando inizia a “disturbare” (o peggio, limitare e annullare) la libertà altrui”.
La mia funzione di “educatore”, di colui cioè che deve “trarre”e favorire il miglior sviluppo della personalità della persona che gli è affidata, richiamava innanzitutto al dovere di essere preparato professionalmente (e quindi strutturare al meglio le lezioni perchè tutti potessero meglio comprendere, correggere puntualmente le verifiche, tenere una necessaria disciplina nel corso delle lezioni), di stimolare poi le capacità, anche quelle nascoste di ciascuno, e di verificare infine i risultati ottenuti ( i compitini svolti in classe senza preavviso potevano apparire un “castigo”, in realtà servivano anche per verificare la bontà del metodo da me adottato).
Cosa che, evidentemente, non potevo dire in quel momento!
E questo mio “dovere” veniva, quindi, ad essere in sintonia con il vostro diritto nel “pretendere” quanto era necessario per migliorare le conoscenze (obiettivo secondario) ma ancor più per imparare a diventare “adulto” nella vita personale e nelle relazioni con gli altri (obiettivo primario).
Per contro, e in modo direttamente proporzionale e simmetrico, avveniva lo scambio con il mio diritto di “pretendere” il meglio da ciascuno ed il vostro dovere di corrispondere con altrettanto impegno alle occasioni di crescita personale.
Tutto ciò era la risposta minima che rendeva giustizia a quanti, i vostri genitori in primis, avevano affidato alla istituzione “Collegio S.Ambrogio di Porlezza” (e di conseguenza anche al sottoscritto) la responsabilità di una formazione in linea con le loro aspettative e le loro convinzioni, al riparo -come ha sottolineato Iore- dai “cappelloni” e dai “rivoluzionari … dalle idee sovversive”.
Ebbene, in questo posto “al riparo”, mi ero premurato di rendere il clima scolastico un po’ meno pesante, non tanto sotto la spinta delle novità sessantottine, ma perché convinto che le linee guida sopra ricordate erano la base per un reciproco arricchimento, reso possibile da una mediazione tra le esigenze richieste dai rispettivi ruoli, in quel tempo visti ancora come distinti e “distanti”.
Applicare queste mie convinzioni nel mondo della scuola mi era diventato facile per via dell’esperienza che proprio in quegli anni mi trovavo a “vivere” sul fronte della politica amministrativa: in quegli anni il mio “secondo lavoro”.
Non ancora trentenne, e come ogni giovane sospinto da grandi ideali di cambiamento rispetto a consuetudini ormai obsolete e talvolta di parte (nella fattispecie, a seguito di manovre da parte delle segreterie politiche, ero stato eletto dopo la reggenza di un commissario prefettizio), m trovavo a ricercare spesso e sistematicamente una mediazione tra il “nuovo” che mi veniva spontaneo ed il “vecchio” del potere costituito, appannaggio di una sorte di anziana oligarchia, collegata e/o dipendente per lo più da schematismi e apparati fin troppo politicizzati.
La ricerca del “bene comune” per i cittadini mi chiamava ad una scelta: rifiutare a priori il dialogo e conseguentemente l’abbandono del campo (significava questo darla vinta al “vecchio”! rinunciando a qualsiasi innovazione); sottomettersi ad una prassi vigente, che poteva darti anche possibilità di gratificazione nel futuro (credo che questo però non figurasse nelle aspettative di un giovane!); oppure una terza e più opportuna soluzione: la ricerca di un consenso, il più condiviso possibile, che potesse introdurre gradualmente scelte sorrette da nuove strategie di intervento nella scuola e nel sociale in genere, quelle stesse auspicate dalle spinte ideali di quegli anni.
Solo così si può spiegare il “binomio”, amicizia e autorità (non autoritarismo!) che ha contraddistinto la mia proposta e che è stata da voi felicemente condivisa: severo ed esigente come docente, compagno ed amico nel tempo libero e nei rapporti interpersonali.
Queste “linee di programma” sono state per me dei punti di riferimento precise nel rapportarmi con gli altri, ed in particolare con i tanti ragazzi successivamente conosciuti nell’ambito della attività sportiva che non ho mai smesso di privilegiare come luogo di incontro, anche in questi giorni.
Questa positiva esperienza continuata nel tempo, mi ha dato la gioia di rimanere giovane, ma soprattutto mi ha permesso di coltivare e migliorare quella “apertura” che ti rende amico di tutti, senza con questo venir meno al necessario “ascendente” (leggi corretto uso del concetto di autorità) di chi ha la responsabilità di educare, i giovani in particolare.
Nota.
Gli interventi di Luisa, Iore e Egle mi hanno procurato una gioia immensa.
Ripristinare nei miei riguardi una amicizia, che il tempo (tanti anni sono passati da allora) non è riuscito a cancellare, ti dà una sensazione che è difficile descrivere.
L’ho detto a Luciano quando ci siamo incontrati: un avvenimento di questa portata non potrà che restare tra i momenti più belli della mia vita.
Grazie a voi, grazie con tutto il cuore.
E adesso, spero di incontrarvi, al più presto. Ciao, a tutti.
il vostro compagno matusa
3 commenti:
Carissimo "professore"
Vorrei premettere che nonostante non ti abbia conosciuto come persona
ma solo come docente, eri uno dei prof che piu mi piaceva e che piu
rispettavo perché effettivamente trattavi noi ragazzi con rispetto e
non da inferiori. Congratulazioni e grazie per essere stato sempre
coerente nelle azioni con il tuo pensiero. E anche aprezzavo molto le
tue lezioni, nonostante a volte mi ci voleva un po' per farmi entrare
le nozioni in zucca.
Ebbene, nel mio commento al ‘68 sono stata un po’ semplicistica e non
volevo neanche fare un’analisi, anche perché non mi sento abbastanza
preparata sull’argomento.
Come avrai capito le mie sono reazioni “a caldo” per cui scrivo
quello che sento in quell momento e a volte sono anche dominata dallo
stato d’animo in cui mi trovo . (Questa confessione non mi fa molto
credito credo, perché dimostra un’instabilita proccupante, me ne rendo
conto solo ora).
Oggi non mi definirei nei meandri della contestazione, direi piuttosto
che ho un’insofferenza per il “potere” in generale, politico o
economico o qualunque sia; che fa il bello e il cattivo tempo senza
badare alle conseguenze sui cittadini. Per esempio la politica
mondiale che si sta portando avanti dalla fine della II guerra e che
impone un’ingiustizia sociale pesante nel nostro mondo di paesi
sviluppati e crudele e insopportabile nei cosidetti paesi in via di
sviluppo con tutte le conseguenze che non vogliamo vedere o
affrontare. Non ci rendiamo neanche conto che la nostra situazione
privilegiata é costruita sul sacrificio di altre popolazioni meno
fortunate e poi non sopportiamo che gli extracomunitari entrino nei
nostri paesi.
Non ci rendiamo conto che gli emigrati o rifugiati economici ben
volentieri starebbero a casa loro se solo potessero procaciarsi il
pane (non il companatico) quotidiano. E poi, noi Italiani, non siamo
stati un popolo di emigranti fino a ieri?
Non posso che essere d’accordo su come le liberta’ ottenute con
sacrifici , ci vengano tolte una dopo l’altra per esempio dando la
colpa al nuovo terrorismo.
Specialmente in America e Inghilterra i media non hanno fatto altro
che mettere paura alla gente preannunciando attacchi terroristici
quotidiani, giusto per costruire quella tensione e paura che avrebbe
reso auspicabile (non é la parola giusta, ma non mi viene) il
restringere o abolire certe liberta’.
Mi riferisco sempre all’Inghilterra: il fenomeno Thatcher ha spezzato
le reni di tutto il movimento dei lavoratori e sindacati quando ancora
in Italia i sindacati la facevano da padroni, vedi la chiusura di
tutte la miniere di carbone che lascio’ intere zone nella
disoccupazione e non diede alcuna alternativa di impiego a migliaia di
persone. Questo lo definisco assassinio di intere comunita’, e poi ci
si meraviglia di come la criminalita’ aumenti.
Insoma quello che voglio dire é che il movimento ed i motivi di quegli
anni era sacrosanto, i mezzi con cui lo si é portato avanti certamente
non erano molto ortodossi e purtroppo sono degenerati, grazie anche
alla strumentalizzazione che certamente la classe politica ha usato.E
inoltre la politica ha diviso i fronti fra i rossi e i neri. E qui
devo citare ancora la filosofia inglese del “divide and rule” Dividi e
governa o meglio domina
E poi si sa bene che, essendo l’Italia in una posizione molto
strategica, ha sempre avuto l’attenzione dell’America e Inghilterra
che intervennero copiosamente quando le cose non andavano secondo la
loro agenda.
Sara’ meglio che mi fermi perché divago troppo, come mio solito.
Inoltre vorrei scusarmi su come scrivo perché mi rendo conto che
oramai ho molte lacune nel mio vocabolario italiano, oltre che
impiegare ore per scrivere due righe.
Prossimamate mi piacerebbe discutere come si viva in Italia a contatto
con altre comunita’ che credo siano abbastanza luogo comune.
Sono queste persone emarginate, sono trattate come diversi?
Ne riparleremo.
Ciao a tutti
Lore
Devo dire che l'analisi del prof. Morandi è molto lucida nella parte che descrive gli anni della contestazione e ne dà una lettura che quelli della nostra età possono aver fatto solo avendola letta nei testi ma non avendola vissuta di persona.
Per quel che riguarda invece la seconda parte relativa all'insegnamento, credo non sia stato facile allora mettere in pratica i principi guida di questo giovane insegnante in quell'ambiente un pò cupo e conservatore.
Però ci è riuscito, lo dimostra l'indimenticato messaggio che ha trasmesso a noi studenti.
Mi vien da pensare alla situazione attuale. Sicuramente ci sono tanti bravi insegnanti che vivono con passione la loro professione-missione.
Ma quanto sono cambiati gli studenti? Ai tempi nostri (mi spiace esprimermi così) c'era sicuramente più rispetto dei ruoli e delle persone, e anche più educazione. E l'autorevolezza veniva riconosciuta anche dalle famiglie anche se a quei tempi non era certo ammissibile da parte loro, mettere in discussione gli insegnanti e i loro metodi.
L'evoluzione dei costumi, dei metodi d'insegnamento, la capillare scolarizzazione ha migliorato la società? Non avete l'impressione che siano state spazzate via col resto anche le conquiste positive in nome di una presunta libertà di espressione esercitata da chiunque (a torto o a ragione) e in ogni ircostanza.
Si è perso il limite del rispetto della libertà altrui (il principio cardine del giovin professore) ed anche il senso del diritto-dovere (secondo principio cardine), il riconoscimento dei ruoli e il principio di autorevolezza necessario nel rapporto insegnante-studente.
Non sono totalmente pessimista, perchè conosco situazioni di eccellenza che però vengono portate come esempio invece di essere la normalità.
Spero di leggere cosa ne pensino sopratutto i papà e le mamme degli studenti di oggi e scusate se mi sono dilungata.
Ciao a tutti
Egle
Egle credo che hai proprio centrato il punto.
Sono completamente d'accordo con te e mi spiace per gli insegnanti di
adesso che hanno veramente la mani legate e, secondo me, hanno un
grande coraggio, s voler insegnare.
Posso portare un esempio personale a comprovare le tue parole.
Un mese fa circa c'é stata la serata di colloqui con i prof di Oddy,
Dopo aver sentito per l'ennesima volta quanto siano contenti per il
suo comportamento, ho parlato con il responsabile della loro classe,
una sorta di supervisore nonché professore il quale insegno' anche a
Davide. La prima cosa che mi ha detto é stata una sciorinata di
complimenti sull'educazione ed il compartamento dei miei figli. Questo
mi ha fatto piacere, certo, pero' mi ha lasciata un po' disorientata.
Sabato scorso sono andata a parlare con l'insegnante che da' le classi
d'italiano ed anche lei si é complimentata moltissimo per il
comportamente irreprensibile dei miei due. Io le ho risposto che non
mi sembra una cosa tanto eccezionale che i figli si comportino bene, é
loro dovere. E l'insegnante mi ha risposto che si, dovrebbe essere
cosi ma ai nostri giorni é invece l'eccezione.
Ma riallacciandomi a quello che gia' ho detto in un commento
precedente l'onero dell'educazione é perlomeno all'80% carico e
responsabilita' della famiglia ed ai figli si insegna anche con il
buon esempio, il rispetto e la sincerita' reciproca e se poi c'é anche
affiatamento ben venga.
Ciao a tutti.
Lore
Il blog si sta riscaldando. Che sia la primavera?
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